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La campana di vetro di Sylvia Plath



"Come facevo a sapere se un giorno o l'altro -al college, in Europa o in qualche altro luogo, in qualsiasi luogo- la campana di vetro, con le sue distorsioni opprimenti, non sarebbe discesa di nuovo sopra di me?"

La campana di vetro è uno di quei libri che mi hanno fatto sentire profondamente ignorante. Mi sono infatti chiesta perché non l'avessi mai nemmeno preso in considerazione.

Sylvia Plath è una poetessa americana, il suo unico romanzo è appunto La campana di vetro, edito nel 1963 un mese prima del suo suicidio, con lo pseudonimo Victoria Lucas. La scelta di utilizzare lo pseudonimo deriva dal fatto che il libro è autobiografico, narra infatti l'accesso all'età adulta della Plath e dello scompenso psichico che quest'ultima ha avuto proprio in quel periodo e che sfociò con un tentato suicidio.
Esistono numerose analisi su La campana di vetro, interessante è stata la prefazione che ho trovato nell'edizione Mondadori che descrive bene il testo come metafora della difficoltà di una donna di muoversi in un mondo pieno di convenzioni sociali, che quasi la soffocano e ne causano la malattia. Non parlerò di questo aspetto. Mi interessa di più dare una mia impressione su ciò che mi ha trasmesso una lettura più intima del libro.
La narrazione si apre a New York, fin dalle prime righe fa la comparsa anche la morte che accompagnerà come un sottofondo tutto il testo. In questa prima parte la Plath utilizza un linguaggio brillante, lieve, ricco di dettagli che rappresenta alla perfezione il sentire della narratrice Esther.
Esther/Sylvia è una giovane ventenne alle prese con una prima esperienza lavorativa. Alcuni eventi divengono causa di profonda delusione per Esther, tali accadimenti nel mio modo di vedere le danno modo di confrontare l'immagine che ha di se stessa con ciò che le rimanda, come uno specchio, il mondo esterno, generando una frattura che sfocia nella malattia mentale.  Esther/Sylvia manca di identificazione, non sa più chi è, ha perso il senso di se stessa, dei propri confini.
La Plath riesce a raccontare questa fase di disintegrazione, di sofferenza, di spazio bianco, in modo chiarissimo. Non descrive: la scrittura diventa direttamente veicolo che comunica al lettore i vissuti di Esther/Sylvia. L'uso del linguaggio cambia, le frasi si accorciano, la narrazione si blocca in un presente che si dilata.
Tutto diviene più fluido quando la protagonista riesce a rimettere in circolo la propria energia vitale, con la consapevolezza che la campana di vetro potrebbe scendere nuovamente su di lei.
Questo libro, nella mia personale esperienza, è stato solo una piccola introduzione alla figura di Sylvia Plath; credo che per comprenderla dovrei affrontare la sua opera poetica e i suoi diari che però sono giunti a noi incompleti: il marito ne ha distrutto delle parti prima di farli pubblicare.
Concludo questa mia breve impressione di lettura riportando un passo che fa sentire il vissuto di Esther di essere senza protezione, invasa dallo sguardo altrui:

"Sentii il suo sguardo penetrare la bianca rivestitura della casa e le rose cremisi della tappezzeria e scoprirmi, rattrappita là sotto, dietro gli elementi argentati del radiatore.
Scivolai fino al letto e mi tirai le coperte oltre la testa. Ma neppure questo bloccò fuori la luce, così seppellii la testa sotto il cuscino fingendo che fosse notte. Non riuscivo ad aver voglia di alzarmi: non vi era nulla che desiderassi fare."


Suggerisco questo sito: http://www.sylviaplath.altervista.org per avere una rapida visione d'insieme della poetessa.

Commenti

  1. Anche io mi sento ignorante; è un'autrice che spesso ho sfiorato, ma mai letto... grazie per questo contributo...

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    1. Grazie per aver letto il mio pensiero. Ho ordinato il diario della Plath in biblioteca. Ho letto alcune poesie e sono come lame affilate...

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  2. Questo libro mi attende in libreria, aspetto il momento in cui sentirò di doverlo prendere in mano...

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